Le rinuncie delle mamme

Le rinuncie delle mamme

Immagina di essere una professionista altamente qualificata.
Immagina di avere un lavoro che ti appassiona.
Immagina di guadagnare tanti soldi da poterti permettere il livello di vita che hai sempre sognato.
Immagina di sentirti rispettata e valorizzata.
Immagina di avere l’independenza economica che ti permetta rapporti salutari e liberi con gli altri adulti.
Lo stai immaginando? 
Adesso immagina di diventare mamma.
Immagina che le tue prospettive siano goderti le 16 settimane di maternità, per poi continuare la tua fiammante carriera in quanto puoi permetterti la miglior persona al mondo che si prenda cura del tuo bebè quando tu non ci sei.
Immagina che quel momento arrivi e di provare un miscuglio tra sollievo e tristezza. Sollievo perchè la maternità è più strapazzante del tuo lavoro di 10 ore tra squali d’impresa e del mondo del lavoro; e tristezza perchè in realtà non vorresti lasciare il tuo bebè con nessun’altro.
Immagina di essere nel tuo ufficio e di avvertire che in realtà non è quello che vorresti.
Immagina di decidere di rinunciare al tuo lavoro, al tuo status, alla tua autonomia per fare la mamma nel modo che tu liberamente decidi.
Immagina che passino i giorni, le settimane, i mesi, forse anche gli anni e di sentirti felice e soddisfatta per essere presente nella crescita dei tuoi figli, felice di sapere che stai investendo in qualcosa que nessuno altro possa dare loro. Felice perchè la tua testa, abituata ad analizzare tutto in modo molto razionale ed obiettivo, ti dice che sei indispensabile per i tuoi figli in questa fase del loro sviluppo.
Immagina che nonostante ciò, un’altra parte di te si senta stanca, esausta, aggressiva, suscettibile perchè la tua parte emotiva non si accontenta «dei vantaggi nel crescere direttamente i tuoi figli».
Immagina anni senza dormire ininterrottamente, senza una reale conversazione adulta, senza continue interruzioni quali «tetta»,»pipì», «prendimi in braccio», «non voglio», «voglio»…
Immagina che il tuo sostentamento non dipenda da te, bensì dal tuo compagno, o dai tuoi genitori, o dall’assitenza pubblica.
Immagina di accorgerti che intorno a te nessuno attribuisca valore a quello che fai, che tutti diano per scontato che sia un tuo dovere e niente più.
Immagina di volere il padre dei tuoi figli molto più presente durante la loro crescita e la risposta che ricevi quando affronti l’argomento sia: «io lavoro tutto il giorno per permetterti di giocare con i puppazzi!».

Immagina che ti classifichino come anti femminista, «pigra», «signora»,»hippy «, fondamentalista… Ti critichino per una cosa e per l’esatto contrario, perchè scegliere di fare la mamma non è ben visto in nessun ambiente tra quelli che prima frequentavi: sul lavoro, in polìtica, nella società, nemmeno nella tua famiglia….

Lo stai immaginando? 

Adesso immagina che in questo caos emotivo, fisico, sentimentale e sociale, ti giunga una proposta di lavoro.

Immagina che un cacciatore di teste abbia visionato il tuo profilo professionale e ti offra un lavoro. Addirittura migliore di quello che avevi lasciato.
Immagina che sentendo quanto guadagnerai, non puoi evitare di pensare al fatto che sono mesi che vesti capi acquistati nei  grandi magazzini, compri prodotti senza marca al supermercato, e che la cosa più simile ad una cena fuori è andare in un fast food con i bambini.
Immagina di sognare l’opportunità di riavere la tua vita, la tua autonomia, la tua libertà, la tua indipendenza, il tuo status, il tuo riconocimento, la tua «voce», dissoltisi ormai tra pianti e richieste dei bimbi.
Immagina di pensare a tutto ciò e di decidere che ancora non è il momento, che i tuoi figli sono ancora piccoli.
Puoi immaginare i sentimenti provati?
Puoi immaginare il senso di colpa che tutto ciò produce?
Colpa di desiderare di dire di sí a quell’offerta.
Colpa per sentirti triste nel dire di no.
Colpa perchè tutto ciò ti scuote, ti fa arrabiare, ti frustra e hai sfogato i tuoi sentimenti con 4 urla ai tuoi figli; e ciò ti fa pensare di essere un fiasco come mamma, o di essere una delusione per la crescita che desideri.
Colpa perchè alla fine è l’unica cosa che come donna abbiamo imparato: sentirci colpevoli di tutto, per tutto e per tutti.
Portiamo il carico più pesante della società, quello che nessuno riconosce, apprezza,  né tanto meno retribuisce.
Durante le campagne elettorali ci frustra vedere come nessuno sia interessato alla nostra condizione. Siamo stanche di vedere che l’unica opzione che ci offrono è quella di avere asili fin dalla nascita, o che il padre usufruisca di metà del periodo di maternità.
Come mamme stiamo frequentemente rinunciando: TUTTE.
Alcune rinunciano alla loro vita, altre ai loro figli.
Ci sono quelle che cercano di conciliare lavoro e figli, rinunciando ad avere tempo per loro stesse, o ad avere un’intimità con il loro compagno o con le loro amiche.
O semplicemente a dedicarsi al loro benessere facendo sport…che ne so.
L’unica cosa vera è che qualunque mamma tu conosca, lo è a patto di rinunciare a qualcosa.
La prossima volta che ti trovi con una mamma non la criticare.
Non le dire quello che deve o non deve fare.
Non la ignorare perchè sai che non potrà venire alla tua festa la sera, invitala comunque.
Non cadere in certezze e nemmeno in cliché.
Semplicemente dille:
«Sei molto coraggiosa, lo stai facendo molto bene e ti ammiro»
PS: Dedicato ad A. e a tutte le belle mamme che hanno deciso di vivere intensamente questo lungo, bello e a volte duro e solitario viaggio che è crescere i propri figli.  Ho imparato tanto di te,  di voi, che posso solo dirvi GRAZIE
Nohemí Hervada
Texto original en castellano: Las Renuncias de las Madres
Texto en inglés:  What mothers give up
Le rinuncie delle mamme

What mothers give up

Imagine you are a highly qualified professional.

Imagine you have a job you are passionate about.

Imagine you earn lots of money, which allows you to have the lifestyle you always dreamt of.
Imagine you feel you are respected and recognised.

Imagine you are financially independent, which means your relationships with other adults are free and healthy.

Can you imagine that?

Now, imagine you become a mother.

Imagine your plan is to enjoy those  weeks’ maternity leave, to then continue with your splendid career, since you can afford to pay the best person in the world to look after your baby while you are not around.

Imagine that moment arrives and you feel a mixture of relief and sadness. Relief, because you find maternity harder than your 10-hours-a-day job, surrounded by corporate and financial sharks. Then sadness, because you do not want to leave your baby with anybody else.

Imagine you are in your office and you feel that is not what you want to do.

Imagine you decide to give up your job, your status, your independence, so that you can be a mother in the way you freely choose to.

Imagine days, weeks and months go by, maybe even years, and you feel happy you are present in your children’s upbringing. Happy knowing you are investing in something nobody else can give them. Happy because your head, used to analysing everything in a cold and objective way, is telling you that you are indispensable for your children in this stage of their development.

Imagine that, despite all this, another side of you feels tired, exhausted, annoyed and susceptible, because for your emotional side, knowing the benefits of bringing up children is not enough.

Imagine you have not had a full night’s sleep in years, nor have you been able to hold an adult conversation without interruptions such as “Mummy I want booby”, “wee-wee”, “hold me”, “I don’t want”, “I want” …

Now imagine your income does not come from you, but from your partner, your parents, or a public welfare system.

Imagine you realise that nobody around you appreciates what you do. They take for granted it is your responsibility, and that is it.

Imagine you would love for your children’s father to get involved in their upbringing, and all you get when you talk about it is something like: “I work all day long so that you can stay home playing with dolls”.

Imagine you are criticised for being an anti-feminist, “slack”, “snobbish”, “a hippie”, a fundamentalist…  You are criticised for one thing and then for the right opposite too, because it seems that choosing to be a mother is not well looked upon in any environment you used to be a part of: in business, politics, society or your family…

Divi WordPress Theme

Can you imagine it?

Now imagine in that emotional, physical, anaemic and social chaos, you get a job offer.

Imagine some head-hunter has seen your professional profile and offers you a much better job than the one you gave up.

Imagine when you hear how much you will get paid, you cannot help but thinking about how many months you have been buying clothes in department stores, buying own-brand labels in the supermarket, and the closest you have had to eating out is going to a fast food restaurant with the kids.

Imagine you dream about that chance to regain your life, your autonomy, your freedom, your independence, your status, your recognition, your voice, which has become muffled by the children’s cries and demands.

Imagine you think about it and decide that it is not the time yet, that your children are still young.

Can you imagine the feelings you meet?

Can you imagine the sense of guilt this generates?

Feeling guilty for wanting to accept that offer

Feeling guilty for being sad when turning it down

Feeling guilty because this occurrence troubles you, it makes you angry and it frustrates you, and you have let it all out by shouting at your kids, which makes you feel you are a failure of a mother or a fraud to the upbringing you want to provide them with.

Feeling guilty because at the end of the day, that is all we have learnt as women: to feel guilty for everything, about everything and about everyone.

We carry the heaviest load of society, which nobody recognises, appreciates or remunerates. In times of electoral campaigns it is frustrating to see how nobody is interested in our situation. We are fed up of seeing that the only option available to us is to resort to nurseries since birth, or that the father requests half of the maternity leave.

Mothers Job

 

Mothers are constantly giving up: ALL OF US.

Some give up their lives, some others give up their children.

Some try to balance it all out and give up having time to themselves, having private time with their partners, spending time with their friends, or investing in their own health by exercising… who knows…

The truth is that any mother you know is so at the expense of giving up.

Next time you come across a mother please do not criticise her.

Do not tell her what she should do or how to do it.

Do not ignore her just because you know she will not be able to come to your evening party. Invite her along all the same.

Do not state the obvious or use set phrases.

Just tell her:

 

“You are very brave, you are doing very well and I admire you”.

PS: Dedicated to A. and all those beautiful mothers who have decided to live intensely this long, beautiful, and sometimes hard and lonely journey, which is bringing children up. I have learnt so much from you, from all of you, that all I can say is THANK YOU.

Greetings.
@NohemiHervada

Traducción del texto original en castellano «La renuncia de las Madres» de Nohemí Hervada, realizada por Becks13 @V3rsion13
Texto en italiano : Le renuncie delle mamme

Cómo reconocer a un maltratador

Cómo reconocer a un maltratador

Aunque el maltratador se vista de seda…
Desgraciado maltratador se queda.

Y  no habría mucho más que añadir.
Porque lo cierto es que estos individuos no llevan un cartel de neón en la frente.
Son personas «normales», vistas a distancia. Incluso de cerca, pueden ser verdaderos «encantadores».

¿Entonces cómo saber cómo son en realidad?

Algunos maltratadores van acumulando relaciones tóxicas precisamente porque van embaucando a una tras otra de sus víctimas. Según estas van dándose cuenta del tipo de elemento que es en realidad, si rompen con él, a pesar del número dramático que montará intentando que creas que no puede vivir sin ti y que incluso piensa en quitarse la vida,  lo cierto es que estos seres solo se quieren a sí mismos, así que no, no lo hará. No solo no se va a suicidar ni va a morirse de pena, sino que si de verdad cortas todos los lazos con él, buscará otra. Y no tardará en hallarla.  Porque en realidad lo que buscan es un recipiente de sus obsesiones y sus fantasías enfermizas. Da igual cómo seas. Lo que le interesa es conquistarte, tenerte y controlarte. Son psicópatas buscando hacer realidad sus fantasías. No te engañes, no te quiere. Son incapaces de albergar amor porque no entienden ese concepto de aceptación, respeto y tolerancia necesarios para amar.

¿Por qué tienen éxito?

Un maltratador es un  experto en halagar, en piropear exactamente del modo que a ti más te guste: será romántico y detallista como el que más, desprendido  en regalarte cosas que de verdad tengan un significado especia para ti. Creerás con esto que te escucha hasta el mínimo detalle para saber qué te gusta, cuando en realidad lo que hace es espiarte y estudiarte como en un juego de estrategia. Recuerda que para él eres un objetivo.
Cumplirá tus deseos y sueños (hasta los más oscuros si es que has cometido la imprudencia de compartirlos con él), se esforzará mucho en que todo el mundo sepa que estás con él.

Porque para él eres un trofeo.
Le importas realmente NADA.
Pero eres su objetivo, su meta y lo que le genera placer es controlarte y tenerte… y por supuesto exhibirte.
Eso sí, no tolerará que te exhibas tú.

Este tipo de maltratadores psicológicos suelen ser extremadamente moralistas. Aunque por otro lado, tras esa apariencia de reputación intachable, se esconde un depravado. Te sorprendería cómo pueden ofenderse porque consideran inmoral que quieras tener una relación esporádica con él si ser su «prometida» , o que publiques fotos para él «vergonzosas», pero  luego te mande fotos que avergonzarían a la mayoría de tus contactos. O te pidan ir al límite o más allá de lo «aceptable» en el sexo. Así son.
Tras esa fachada de beatitud y moralidad solo hay un ser oscuro y podrido.
El problema de estos maltratadores es que confunden su fantasía de control y sumisión con la vida real. Y creen que la mujer que desean es suya, así con todas las letras: su posesión. Y entonces todo ese «amor», que no es sino obsesión, se transforma en odio visceral. Y entonces es cuando  sacan lo que de verdad son:

Seres despreciables y malignos que destilan odio por ti, por tu entorno y/o por todo lo que hagas.

Imagen de "El Retrato de Dorian Grey" de Oscar Wilde

Imagen de «El Retrato de Dorian Grey» de Oscar Wilde

 

Te odiará porque no te tiene, y odiará todo lo que eres y representas. Y toda la energía que dedicó a «adularte» ahora la enfocará a criticarte, a denigrarte y a hundirte (bueno, a intentarlo, porque realmente no tienen poder sobre ti).
Usarán tus secretos y confidencias para hacerte daño. Aquello que un día le confiaste en intimidad se convertirá en sus manos en un arma con la que apuñalarte. No tengas miedo. Nada hay peor que estar con un ser así de repulsivo, así que, haga lo que haga, diga lo que diga, es para bien si está lejos de ti.

Cuando empieces a ver cómo es y le digas «NO» a alguno de sus intentos por controlarte empezarás a ver su verdadero rostro. Violencia en forma de chantaje emocional o chantaje directo. Adjetivos con los que pretende denigrarte: zorra, puta, inmoral, poco profesional… Y todo esto mientras sigue jurando que te ama. Totalmente esquizofrénico para cualquiera menos para él, que ve normal decirte en la misma frase: «Eres una puta, eres despreciable y te amo»
Cuando de verdad vea que no consigue retenerte su odio crecerá e irá más allá que increparte a ti por privado. Lo hará de forma pública. Alguno hasta se convertirá en experto en hablar contra ti o contra tu trabajo. Igual hasta va a la Tv o da conferencias en un intento patético de seguir vinculado a ti.
Recuerda:

Lo que se hace movido por el odio, es odioso, como él, como ellos.

Y creerá que te hace daño, cuando ese comportamiento es autodestructivo para sí mismo.
Y con el tiempo estará con otra, y la exhibirá como suya. Seguramente con un lenguaje verbal y corporal que delaten ese afán de posesión.
Y tú pensarás:
-«Pobrecilla. Ojalá se dé cuenta pronto de cómo es de verdad, antes de que le haga más daño».

Y mientras, seguirá con su vida y su deseo de aparentar cualidades que en el fondo no tiene: profesionalidad, bondad, éxito…

En el fondo todos los maltratadores narcisistas son seres acomplejados.
No saben querer porque nadie los quiere,
así que necesitan encontrar reconocimiento de algún modo.

Intentarán hacer cosas «vistosas» y muy mediáticas para tener un auditorio que le aplauda. Seguramente les veas haciendo «obras  de caridad», tipo banco de alimentos o similares. Da igual. Da igual lo que hagan, cómo se vistan, cuántos cargos acumulen, o cuántas conferencias den…

Porque nosotras sabemos lo que son, sabemos cómo son y sabemos lo que hacen.
Y sabemos que por mucho que adornen su CV son lo que son:
Maltratadores y Psicópatas en potencia

Y hablo con conocimiento de causa, porque yo he estado con uno. Y querida amiga, tú que sonríes en esa foto como sonreí yo un día, ojalá te des cuenta pronto de la verdad, ojalá alguien te avise de eso que aún no ves y salgas corriendo de ahí. Ojalá.

EMPODÉRATE- NOHEMÍ HERVADA

Le rinuncie delle mamme

Las renuncias de las madres

Imagina que eres una profesional altamente cualificada.
Imagina que tienes un trabajo que te apasiona.
Imagina que ganas mucho dinero que te permite tener el nivel de vida que soñabas.
Imagina que sientes que eres respetada y valorada.
Imagina que tienes independencia económica que repercute en que tus relaciones con el resto de adultos sean sanas y libres.

¿Lo imaginas?

Ahora imagina que te conviertes en madre.

Imagina que tus expectativas son  disfrutar de esas 16 semanas de baja y luego seguir con tu flamante carrera porque puedes permitirte pagar la mejor persona del mundo para que cuide a tu bebé mientras tú no estás.
Imagina que llega ese momento y  sientes una mezcla entre alivio y tristeza. Alivio porque la maternidad te resulta más agotadora que tu trabajo de 10 horas entre tiburones empresariales y económicos, y tristeza porque en el fondo no quieres dejar a tu bebé con nadie.
Imagina que estás en tu despacho y sientes que eso no es lo que quieres hacer.
Imagina que decides renunciar a tu trabajo, a tu estatus, a tu independencia, por ejercer de madre del modo que tú libremente escoges.
Imagina que pasan los días y las semanas y los meses, quizás los años y te sientes feliz de hacerte presente en la crianza de tus hijos, feliz de saber que estás invirtiendo en algo que nadie más puede darles, feliz porque tu cabeza acostumbrada a analizarlo todo fría y objetivamente te dice que tú eres indispensable para tus hijos en esta etapa de su desarrollo.
Imagina que a pesar de eso, otra parte de ti se siente cansada, exhausta, molesta y susceptible porque tu parte emocional no se contenta con saber «los beneficios de criar a los hijos».
Imagina que llevas años sin dormir seguido, sin mantener una conversación adulta sin interrupciones de «teta», «pis», «cógeme», «no quiero», «quiero»….
Imagina que ahora tu economía no depende de ti, sino de tu pareja, o de tus padres, o de un sistema público.
Imagina que te das cuenta que a tu alrededor nadie valora lo que haces, que se da por sentado que es tu obligación y punto.
Imagina que te gustaría que el padre de tus hijos se implicara en su crianza y lo que recibes al hablar del tema es un : «yo me paso el día trabajando para que tú puedas quedarte en casa a jugar a las muñecas».
Imagina que te critican por anti feminista, por «floja», por «señorona», por «hippie», por fundamentalista…. Te critican por una cosa y por la contraria, porque al parecer decidir ejercer de madres no está bien visto en ningún sector de los que antes frecuentabas: ni en los negocios, ni en la política, ni en la sociedad, ni en tu familia…

Divi WordPress Theme

¿Lo imaginas?

Ahora imagina que en ese caos emocional, físico, anímico y social, recibes una propuesta de trabajo.

Imagina que un headhunter ha visto tu perfil profesional y te ofrece un trabajo mucho mejor que el anterior que dejaste.
Imagina que al oír la cifra de lo que vas a cobrar no puedes evitar pensar que llevas meses vistiendo ropa comprada en grandes almacenes, comprando marcas blancas en el super, y que lo más parecido a cenar fuera es ir a un restaurante de comida rápida con los niños.
Imagina que sueñas con esa posibilidad de recuperar tu vida, tu autonomía, tu libertad, tu independencia, tu estatus, tu reconocimiento, tu «voz» que se ha diluido entre los llantos y demandas de los pequeños.
Imagina que lo piensas y decides que todavía no es el momento, que tus hijos son pequeños aún.
¿Puedes imaginar los sentimientos encontrados ?
¿Puedes imaginar el sentimiento de culpa que esto genera?
Culpa por desear decir que sí a esa oferta
Culpa por sentirse triste al decir que no
Culpa porque este suceso te revuelve y te enfada y te frustra y lo has pagado pegando 4 gritos a tus hijos, lo que te hace creer que eres un fracaso de madre o un fraude a la crianza que quieres.
Culpa porque al fin y al cabo es lo único que hemos aprendido como mujeres:  a sentirnos culpables de todo, por todo, y por todos.
Llevamos la carga más pesada de la sociedad, la que nadie reconoce, ni valora, ni remunera.
En época de campañas electorales nos frustra ver cómo nadie está interesado en nuestra situación. Hartas de ver que la única opción que se nos plantea es tener guarderías desde el nacimiento, o que el padre coja la mitad del permiso de maternidad.

Forges-Ama de casa
Las madres estamos constantemente renunciando: TODAS.

Unas renuncian a su vida y otras a sus hijos.
Algunas intentan compaginarlo todo y renuncian a tener tiempo para ellas, o a tener tiempo de intimidad con su pareja,o con sus amigas, o a invertir en su salud haciendo deporte… qué sé yo.
Lo cierto es que cualquier madre que conozcas lo es a costa de renunciar.
La próxima vez que te encuentres con una madre por favor no la critiques.
No le digas lo que tiene que hacer o cómo.
No la ignores solo porque sabes que no va a poder ir a tu fiesta nocturna, invítala igual.
No caigas en obviedades y frases hechas.
Sencillamente, dile:

«Eres muy valiente, lo estás haciendo muy bien y te admiro»

PD: Dedicado a A. y a todas las preciosas madres que han decidido vivir intensamente este largo, precioso y a veces duro y solitario viaje que es el de criar hijos. He aprendido tanto de ti, de vosotras, que solo puedo deciros GRACIAS
@NohemiHervada

Texto en inglés:  What mothers give up
Texto en italiano : Le renuncie delle mamme


Las renuncias de las madres –
(c)2015 -Nohemi Hervada Palou

Si te gustó este post compártelo desde su enlace original. Di #NOalPLAGIO
Este artículo está incluído en mi libro «La Maternidad sin Tabúes»

La maternidad sin tabues

Quizás te guste leer:
Vender el Alma por un Abrazo
Ser Madre: Perder libertad, ganar otras muchas cosas

El que canta su mal espanta

El que canta su mal espanta

¿Alguna vez habéis tenido un día de esos horribles?

¿De esos que no quieres ni que te pregunten cómo estás?

¿Días en los que intentas disimular con pintalabios y tacones  la tristeza?

Yo hoy tenía uno de esos días.
Y el cuerpo me pedía quedarme en casa en pijama y desconectar del mundo. Pero tenía un compromiso, y no me gusta fallar ni en el plano profesional ni en el personal, y  la cita era con personas a las que me unen las 2 cosas.
Hoy se celebraba el I Aniversario de Espacio Vida,  y estaba invitada a participar haciendo un Círculo de Mujeres, así que allí fui.

Justo a la hora de mi participación empezó a llover, con lo que los planes se trastocaron un poco, pero decidí quedarme. A pesar de mi mal día, de las lágrimas al abrazar a algunas personas.

Ya sabéis que hay ciertos mecanismos que nos abren las compuertas emocionales:

  • -un «¿cómo estás?» sincero
  • -una mirada a los ojos de quienes te conocen
  • -un abrazo

Y yo hoy tuve de todo. Y lloré a ratos, como habría llorado en mi casa. Con una gran diferencia: no estaba sola.
Cuando estamos tristes tendemos a aislarnos, y es lo peor que podemos hacer.

 

Recuérdalo siempre, cuantas menos ganas tengas de ver gente,
más necesitas salir y rodearte de quienes te aprecian.

Hoy estuve cantando. A pesar del gris del cielo y de mi corazón, si estás oyendo a Arístides Moreno hablar de la vida, de la suerte que tenemos, de la empatía, de felicidad… si le oyes cantar y cantas con él, cambias.
Recordó él que cuando un grupo de personas se junta a hacer algo vibran en la misma frecuencia y hoy un grupo de personas cantamos juntas a la felicidad y al amor, y sonreímos. Y nos dimos cuenta que como él dice, si cambiamos nosotros, cambia el mundo

Cantar no hace desaparecer la causa de la tristeza, pero puede hacerte cambiar la emoción en el momento. Te saca de tu agujero negro de egocentrismo para mirar con más amplitud y más verdad.

Tenemos muchísimas razones para ser felices y frecuentemente nos dejamos absorber por las cosas negativas. Es cuestión de decidir, como casi todo en la vida.

Es cierto que las emociones negativas no debemos obviarlas. Para sobreponernos a la tristeza, tenemos que completar el ciclo,  aceptarla, darle su lugar, vivirla y dejarla ir. Pero eso es una cosa y otra recrearse en el dolor. Así que ante la tentación de regodearnos en nuestra pena, ya sabéis: cantad.

Para remate del día, Lola Cordero, nos ofreció un rato de baile que viví como un regalo del cielo.
Permitirse mover el cuerpo, disfrutar, mirar a los ojos a otra persona mientras sientes que el ritmo te lleva como quiere… bailar en círculo sintiendo la música, y las palabras…
Esa es una de las mejores terapias que conozco contra la tristeza.
Imaginadnos en una azotea, con bastante frío, amenazando lluvia, pero bailando al ritmo de estas canciones:

Y mientras cantaba:

«Todo aquel que piense que esta solo y que esta mal, 
tiene que saber que no es así, 
que en la vida no hay nadie solo, siempre hay alguien.»

Miraba a mi alrededor y pensaba que es cierto: «a veces me siento sola, pero no estoy sola».
Y si acabas el rato de baile con esta canción, te ves olvidando tu día de mierda, que llevas con tacones desde las 11 de la mañana, que no has dormido nada la noche anterior, que te equivocaste de fecha al sacar unos billetes de avión,  que tu escapada romántica ya no va a ser y que al final del día, cuando se duerman tus hijos estarás sola…
Porque mis hijos ya duermen y yo no estoy sola: Estoy escribiendo para ti.

Voy a reír, voy a bailar 
Vivir mi vida lalalalá 
Voy a reír, voy a gozar 
Vivir mi vida lalalalá 

Voy a reír (eeso!), voy a bailar 
Vivir mi vida lalalalá 
Voy a reír, voy a gozar 
Vivir mi vida lalalalá 

A veces llega la lluvia 
Para limpiar las heridas 
A veces solo una gota 
Puede vencer la sequía 

Y para qué llorar, pa’ qué 
Si duele una pena, se olvida 
Y para qué sufrir, pa’ qué 
Si así es la vida, hay que vivirla 
Lalalé 

Voy a reír, voy a bailar 
Vivir mi vida lalalalá 
Voy a reír, voy a gozar 
Vivir mi vida lalalalá 

Eeeso! 

Voy ha vivir el momento 
Para entender el destino 
Voy a escuchar en silencio 
Para encontrar el camino 

Y para qué llorar, pa’ qué 
Si duele una pena, se olvida 
Y para qué sufrír, pa’ qué 
Si duele una pena, se olvida 
Lalalé 

Voy a reír, voy a bailar 
Vivir mi vida lalalalá 
Voy a reír, voy a gozar 
Vivir mi vida lalalalá 

Mi gente! 
Toooma! 

Voy a reír, voy a bailar 
Pa’ qué llorar, pa’ que sufrir 
Empieza a soñar, a reír 
Voy a reír (ohoo!), voy a bailar 
Siente y baila y goza 
Que la vida es una sola 
Voy a reír, voy a bailar 
Vive, sigue 
Siempre pa’lante 
No mires pa’trás 
Eeeso! 
Mi gente 
La vida es una haha 

Voy a reír, voy a bailar 
Vivir mi vida lalalalá 
Voy a reír, voy a gozar 
Vivir mi vida lalalalá

Todo lo que aprendí de los ciclistas

Todo lo que aprendí de los ciclistas

Cada vez veo más paralelismos entre la bici y la  vida.

Hace unos meses escribí este post:
5 Cosas que aprendí de un ciclista.

Pero desde entonces he aprendido mucho más. Valiosas lecciones de vida. Me gustaría compartirlas con vosotros:

  • Hay ciclistas que están hechos para trabajar en solitario
  • Otros se sienten mejor trabajando en un equipo.
  • Hay ciclistas de largo recorrido, hechos para aguantar horas y horas, saben dosificar sus fuerzas y no quemar sus cartuchos en  la salida.
  • Hay ciclistas especialistas  en  contrarreloj. Son muy veloces, mucho, los que más, pero nadie mantiene tanta velocidad tanto tiempo, así que no suelen ser buenos para pruebas largas.
  • Sólo algunos privilegiados aúnan velocidad y resistencia.
  • Hay líderes que lo son por algo más que porque les designe el equipo, que se ganan el reconocimiento moral de sus compañeros, y lo consiguen con trabajo y humildad.
  • Hay ciclistas que se dejan el aliento trabajando para que gane su equipo, aunque sepan que ellos nunca llevarán el maillot amarillo. Que sus nombres no pasarán a la historia. Nadie entiende de sacrifico y compañerismo como ellos.

    .

Fudenas 2014

  • Los ciclistas saben que a veces tu contrincante es  tu compañero, aquél que te hace llegar a la meta.
  • Los ciclistas saben que la suerte es un compañero extraño en la carrera, a veces te acompaña, a veces no.
  • Los ciclistas saben que hay amores que matan y que a veces, esos que les jalean para animarles, pueden aun sin querer, derribarles.
  • Los ciclistas saben que por mucho apoyo que tengan alrededor, el esfuerzo y el sudor es suyo. Nadie corre por ellos.
  • Los ciclistas saben que los desafíos más difíciles, cuando se consiguen son los que más recuerdan y valoran.
  • Los ciclistas saben que a veces el corazón empuja cuando las piernas ya no tienen fuerzas.
  • Los ciclistas saben que la carrera acaba al cruzar la meta, no antes. Nunca dan por ganada una carrera antes de tiempo…ni por perdida.
  • Los ciclistas saben que nada hay comparable a que te esperen en la Meta.

 

 

 ¡Gracias por enseñarme a ser mejor emprendedora, mejor trabajadora en equipo, mejor líder y mejor persona!

emprende en femenino.- nohemi hervada

Cuando te miras qué ves

Cuando te miras qué ves

Ser mujer parece que va inexorablemente unido a estar a disgusto en nuestra piel. Tanto es así que hay toda una industria multimillonaria creada para vendernos la ilusión de cambiarnos y llegar a gustarnos. Es una realidad que en la mayoría de los casos ese disgusto obedece a un falso concepto sobre nosotras mismas, alimentado con expectativas irreales.
En ese caldo de cultivo ser madre y entregarse al cuidado de nuestras criaturas ha resultado para muchas mujeres un bálsamo donde por fin han encontrado la paz con su cuerpo. Otras, sin embargo, experimentan precisamente por esa entrega que se requiere, una aversión a todo lo que implique el contacto estrecho con el bebé.
Si además añadimos que la maternidad se suele vivir en nuestra sociedad como un estigma, con mujeres que pasan de ser libres, triunfadoras, independientes, valoradas, a miembros de un grupo desfavorecido y apartado  socialmente del resto, es frecuente que para muchas mujeres, pasada la etapa inicial de vuelco en el bebé empiece una etapa complicada de reencontrar, o de encontrar, a la mujer dentro de la madre.
Algunas mujeres descubren su parte más femenina justo después de haber sido madres. Y se sorprenden descubriendo facetas en ellas mismas totalmente desconocidas. Como diría Jean Shinoda pasan del arquetipo Hera o Atenea al de Afrodita.
Todos estos cambios son difíciles de digerir cuando además hay un bebé o niño del que muchas veces somos únicas cuidadoras la mayor parte del tiempo.
Nos volcamos en nuestros hijos, lo hemos decidido así, nos llena ese papel, pero a veces nos sentimos como difuminadas, desdibujadas, lo que se ha dado en llamar «No salir en la foto».
Guardamos y atesoramos testimonio de cada etapa del crecimiento de nuestros hijos y no olvidamos que ellos son los protagonistas de su historia, pero sí olvidamos que nosotras hemos de serlo de la nuestra.
No extraña comprobar la profunda crisis que experimentan muchas mujeres cuando han pasado los años y se dan cuenta que lo único que hacían era orbitar alrededor de sus hijos.
En EL Concepto del Continuum, su autora Jean Liedloff , explica que esta no es la forma lógica de criar hijos. Ellos vienen preparados para aprender de la vida de los adultos. Vidas ricas, llenas de quehaceres interesantes y con propósito. Atendiendo a los hijos, pero no desatendiéndose a sí mismos.

Cuando un adulto, principalmente la madre, deja toda su vida para dedicarse a contemplar a su hijo, las implicaciones emocionales para ese bebé son enormes. Y el mensaje intrínseco que recibe es que su madre no tiene nada interesante que aportar a su aprendizaje.
No podemos criar hijos con buena autoestima si no reciben el mensaje real de que sus padres, principalmente su madre por la gran influencia de esta figura en la primera etapa de vida de los bebes,  tiene buena autoestima.
Si nuestro álbum de fotos familiar está lleno de fotos en las que no salimos… algo pasa.
Te propongo algo: Dedícate unos minutos a mirarte frente al espejo y dime…

«Cuando te miras ¿qué ves?»

Este domingo 25 de Enero si estás en Las Palmas de Gran Canaria te propongo un círculo de reflexión sobre este tema.
Dentro del marco de actividades del 1º Aniversario de Espacio Vida.
¿Te apuntas?

Aniversario Espacio Vida

Personal branding

Personal branding

Cada vez oímos más el término «Personal Branding» o lo que es lo mismo, la marca personal.
Una marca personal es algo más que una marca comercial de un producto o un servicio.
En el año 1997 Tom Peters publicaba «The Brand Called You  donde proponía cosas como esta:

Las grandes compañías entienden la importancia de las marcas.
Hoy, en la Era de las Personas, tú debes ser tu propia marca.

Algunas personas creen que como su marca no lleva su nombre esto no les afecta, pero ¿es así?

Evidentemente este blog que lleva mi nombre personal es mi marca, pero los otros («Mimos y Teta« y «Asesoras Continuum«)  aunque no lo parezca de forma tan evidente también. De ese modo, la forma en que yo gestiono mis otras marcas tienen impacto en mi marca personal y al revés.

Si en mi trato y mi forma de relacionarme soy una persona deshonesta, poco limpia, maleducada, desagradable, prepotente o soberbia, tarde o temprano, por mucho que crea que cuido mi marca, eso se trasladará al cliente.

En el mundo de la comunicación, en la era de internet donde publicas algo y ya no sabes hasta dónde llegará es más importante que nunca cuidar nuestras comunicaciones y nuestras acciones.

Presumir de unas características en nuestra empresa y luego adolecer de ellas en el trato personal ya no sirve. EL cliente no es tonto, y la mala publicidad tarde o temprano alcanzará nuestra marca

Los empresarios empleamos mucho dinero y esfuerzo en crear, mantener y proteger nuestra marca. En posicionarla, que se conozca y se reconozca. En que sea líder en su sector, que sea un referente de esos atributos que la gente espera recibir cuando contactan con nosotros. Si nosotros, sus propietarios, aunque sea amparados en nuestro nombre propio no tan expuesto, no estamos a la altura de eso que prometemos, somos un fraude.
Los clientes hoy cada vez quieren, queremos, más honestidad y transparencia en las empresas en las que gastamos nuestro dinero. Buscamos un Eco-Valor o ese plus de  valores de la marca que compartimos. Y en el lado opuesto, cada vez somos más dados a boicotear marcas porque no nos gusta su «política» o su trato.

Yo, por ejemplo, no consumo bajo ningún concepto Nestlé, y como esa, otras cuantas.
En el mundo de la crianza, donde aparentemente todos hablamos de respeto, no somos menos exigentes.

Las madres, responsables de las compras del hogar mayoritariamente, no sólo escogemos un producto, artículo os servicio por el precio. Hablamos entre nosotras, preguntamos, queremos saber si estamos invirtiendo en un buen producto y en una buena empresa o en todo lo contrario. Las familias que optan por una crianza mal llamada «natural» suelen  estar muy conectadas a través de grupos, redes sociales  y/o foros y dan o piden recomendaciones o advertencias de según qué productos, marcas o empresas.
Por eso mismo, el mejor consejo de marketing para el mundo de hoy, seas una marca comercial o una marca personal es:

«SÉ UNA BUENA PERSONA»
Porque nadie quiere trabajar con mala gente… salvo la mala gente

Si nuestra política no es fidelizar a los clientes, sino espantarlos, confiando en que siempre tendremos clientes nuevos, que aún no nos conocen, ni a nosotros ni nuestra forma de trabajar, llegará un día en que tengamos más detractores que apóstoles de nuestra marca. Y eso, a la larga se paga caro.

Y si llega el día que la gente al oír nuestra marca lo que emite es un gesto de rechazo… entonces quizás es tarde… Muchas grandes empresas no se sobrepusieron a la mala publicidad y desaparecieron, así que no está de más  pararnos  a pensar y preguntarnos:

¿Vigilo tanto mi reputación como mi marca?

Te regalo esta clase de Emprende en Femenino que ofrecí en mi página de Facebook.
(Al cabo de unos segundos se oye sin problema)

Si quieres escuchar la clase Magistral que ofrecí sobre la Gestión de Quejas y trato al cliente o acceder al curso completo contacta conmigo
nohemihervada@gmail.com

master class emprende en femenino

Cómo ser profesional sin dejar de ser femenina

Cómo ser profesional sin dejar de ser femenina

Hubo un tiempo en que las mujeres de éxito en el mundo de los negocios, o de otros ámbitos de influencia  eran de todo menos femeninas.
El look Margaret Thatcher, marcó a una generación de mujeres con la idea de que para tener responsabilidad había que imitar las características masculinas.
Todos reconocemos aún ese «estilo» en algunas mujeres con gran influencia política o económica.
Del propio sector de las mujeres que luchaban por la igualdad también se apreciaba a veces  un alejamiento voluntario de la imagen de mujer femenina.

antes y después de algunas políticasEl estereotipo de «las guapas no son listas» sigue vigente para muchas personas aún hoy aunque sí vemos como cada vez más mujeres con puestos de poder e influencia se preocupan por cuidar su imagen y resultar atractivas.
Las mujeres de la política  o los medios de comunicación han cambiado mucho en los últimos 10 o 15 años. No es algo casual. Muchas de estas personas han cambiado tras contratar asesores de imagen y/o estilo.  Esos cambios para resultar más atractivos y atractivas tienen influencia en cómo son vistos, y en consecuencia en la confianza que la gente deposita en ellos.  Es lo que se llama El efecto Halo.

La Belleza no es una frivolidad

Ahora sabemos que la belleza no es algo frívolo. El ser humano está diseñado para apreciar la belleza y para buscarla y querer rodearse de ella.

Al parecer nuestros antepasados sabían que la belleza era sinónimo de salud y la fealdad era síntoma de algún problema o enfermedad por lo que biológicamente buscamos rasgos armónicos que nos garantizan en mayor medida la posibilidad de tener descendencia. (Recordemos que biológicamente nuestro papel en la vida es reproducirnos). Os recomiendo ver el programa La Ciencia de la Belleza si queréis ahondar en este tema.

En este contexto, las mujeres sobre todo, nos vemos sometidas a corrientes a veces contradictorias. Por un lado el estereotipo que dice que preocuparse de la imagen revela poca profesionalidad, como si lo realmente importante de una persona fuera solo el interior, y por otro lado saber que nuestro interior se ve condicionado por nuestro exterior y viceversa.

Una persona que se gusta a sí misma se siente más segura y por tanto suelo tener más éxito en lo que afronta, y por el contrario, una persona que no se gusta a sí misma o con una imagen descuidada proyecta una imagen de inseguridad que  le afecta en su propia capacidad y que actúa como repelente para los demás. 

Nadie en su sano juicio desatendería un campo de actuación que tiene tantísima influencia en su vida y en sus relaciones con los demás. A veces negarse a prestar atención a la propia imagen solo esconde prejuicios y/o inseguridades propias.

Haríamos bien en preguntarnos:

¿Me preocupo por la apariencia de mi hogar?
¿Me preocupo por adornar el lugar donde trabajo y hacerlo acogedor?
¿Me gusta que mi familia vaya bien arreglada?
¿Y yo?
?Merezco yo menos atención que mi casa o mi oficina?

El primer paso para vencer un prejuicio es reconocerlo y el segundo resolverse a cambiar.

Tenemos que  entender que ser femenina no es algo que tengamos que esconder o negar. Somos femeninas, porque somos mujeres. Aceptar que es parte de nuestra condición, de lo que somos y que es fabuloso.
En cierto sentido somos diosas. Nuestras características de mujer hacen posible la vida, así que en vez de esconder lo que somos o intentar parecernos al otro sexo, sintamos orgullo de nuestra condición.

Cuando nuestra actitud hacia lo que es ser mujer es buena, nuestro lenguaje corporal transmitirá aceptación y seguridad. Todo lo que hagamos tendrá una impronta de verdad, porque no estaremos disimulando lo que somos o intentado aparentar lo que no somos.

 Pero ¿cómo ser profesional y femenina a la vez?

Somos seres sexuales por naturaleza. Eso es una realidad.
Es cierto que gran parte del arreglo puede resultar en acentuar los atributos sexuales.  Y está comprobado que los hombres reaccionan ante la imagen de una mujer guapa de forma distinta a cómo reaccionamos las mujeres ante imágenes de hombres atractivos. Hablando en un lenguaje sencillo: a los hombres les distrae la visión de una mujer atractiva.
Eso explica por qué la mayoría  de guías de consejos para ser una buena profesional recomiendan para el  trabajo ir discreta, no usar ropa demasiado corta o escotes pronunciados, que se prefiera el pelo recogido a las melenas sueltas, zapatos de medio tacón, uñas no demasiado largas y complementos discretos.

crea tu marca personal

Eso no significa que si eres mujer profesional lo seas menos si optas por no ir con un traje sastre, o llevar la melena suelta. Lo que significa es que a la hora de relacionarte con otros entiendas que la imagen que escoges tendrá un impacto en los demás. De ese modo algunas mujeres en determinados ámbitos, prefieren analizar el modo en el que se arreglan para controlar el impacto que su imagen provoca  y que éste sea positivo y sirva para cumplir los objetivos que se han marcado.

Esto lo hacemos todos consciente o incosncientemente. Si vas a una barbacoa al campo no se te ocurre ir con un traje de noche y tacones. Del mismo modo que si te invitan a una boda no vas  con vaqueros y zapatillas.

Nuestra libertad de vestir y arreglarnos como queramos la limitamos voluntariamente dependiendo de la actividad que vamos a realizar y el ambiente donde la vamos a desenvolver.

Yo que hago talleres con grupos diversos no me arreglo igual si es un grupo de padres en un barrio residencial, en una zona más desfavorecida socialmente, en un ámbito rural o si es entre profesionales médicos. Incluso miro si el taller se va a presentar en una sala con sillas o en el suelo con colchonetas.

No es dejar de ser una misma, es ser inteligente y adaptarse al medio.

Si eres una mujer profesional, mi primer consejo es que te gustes. Y el segundo,  que actúes con inteligencia y que tu imagen, la que escojas en cada momento sirva para añadir valor a tu trabajo, nunca a restárselo.
Sobre colores y tamaños de faldas, tacones y uñas no te voy a hablar, porque estoy convencida que si eres inteligente tú sabrás escoger lo adecuado en cada ocasión. 😉

¿Te gustó este post?

Si te gustó compártelo  o envíalo a tus contactos y si quieres saber más sobre este tema no te pierdas mi taller on line Sácate Partido.
Desde cualquier lugar, cuando tú quieras, tantas veces como quieras,  accede al taller grabado de 3 horas y media de reflexión sobre estos temas y tips prácticos para conseguir que tu imagen refleje lo que deseas. Además te incluiré en un grupo privado de Facebook donde comentar y compartir recursos.

sácate partido
Si quieres regalarte el taller pincha aquí

Entrevista de ING a  Nohemí Hervada

Entrevista de ING a Nohemí Hervada

En este enlace podéis ver la publicación de ING sobre Asesoras Continuum, una de las 2 empresas ganadora de Negocios #Después. Y aquí tenéis la mini entrevsita.
Compartid si os gusta nuestro trabajo. Y no olvidéis que somos Asesoras formadas para ayudar a las familias. Contacta con nosotras o haz un regalo original y práctico y regala una consulta a esos padres que acaban de tener un bebé.

Curso para emprendedoras

Curso para emprendedoras

Entrevista a Nohemí Hervada  en Radio Ecca

Entrevista a Nohemí Hervada en Radio Ecca

Esta mañana me ha entrevistado Victoria Caro en Radio Ecca para hablar de Asesoras Continuum y del premio de ING DIRECT que gané con mi emprendimiento.
Aquí tenéis el Podcast por si os apetece oírlo

Gracias a Victoria y a Radio Ecca por hacerse eco de esta noticia. Si algo compartimos es la labor de difusión a través de las ondas <3

Mi Negocio  es Después

Mi Negocio es Después

Pues sí: Afirmo «Mi Negocio es DESPUÉS»
Mi Proyecto Estrella: Asesoras Continuum, ha resultado ganador del concurso de ING DIRECT .

En la web de la Formación Asesoras Continuum escribí el otro día sobre el tema. Agradeciendo el apoyo que nos ha hecho ganar.
Hoy en este Blog sólo mío y más profesional me gustaría contaros qué siente Nohemí Hervada cuando ve en su correo esto:

Negocio ganador "Negocios Después" de ING Direct

 

Para que entendáis qué supone esto para mí he de deciros que yo nunca tuve mentalidad de empresaria. O mejor dicho, creo que la tuve y se fue  muriendo.

Yo quería ser abogada.

Bueno, yo quería ser cantante… pero ya se sabe, hacía falta un trabajo «de verdad» (léase con ironía) y ese era para mí ser abogada.

Nohemí Hervada 7 años

En Benidorm con mis padres (7 años)

No recuerdo en mis primeros años de colegio a ningún otro niño de mi clase con la idea tan clara de qué iba a ser. Esa idea la mantuve toda mi niñez, hasta el instituto ( si incluso escogí Latín 😉 ). Mis series  y pelis  favoritas eran las relacionadas con juicios. No sé si el sentido de la justicia tan acusado que he tenido siempre era lo que me hacía verme ahí, o esa pasión por el debate, más mi espíritu altamente competitivo. EL caso es que eso quería ser.

Con el tiempo, por mis  circunstancias familiares  y personales decidí que no iría a la Universidad, así que el año que mis compañeros hacían COU yo estudié administrativo mientras empezaba a trabajar cuidando niños  para costearme la academia, pagarme el carné de conducir, el seguro de mi viejo Renault 5, esas cosas que en muchos casos los jóvenes de mi edad recibían de sus padres.
Empecé a trabajar incluso antes de acabar el curso de la academia, como secretaria en un bufete de abogados. Era paradójico que estuviera trabajando en el sector que quise desde niña,  con tan solo 17 años.

Nohemi Hervada

Con 20 años. Mis primos vienen a visitarme a Gran Canaria

Trabajar allí me hizo darme cuenta de que tenia idealizada la imagen de lo que era un abogado. El mundo real me parecía que requería más fiscales que abogados, pero a mí ya no me importaba. Descubrí que ese no era mi mundo sin haber pasado 5  o más años invertidos en él.
Ya era mayor de edad y ya podía por fin escoger qué hacer con mi vida. Decidí invertir mis años de «libertad» en vivir como y donde quisiera. Y con 19 años me independicé y me vine a vivir a Canarias.
Dedicaba mucho de mi tiempo a ser voluntaria y a trabajar en lo que fuera para permitirme vivir haciendo lo que me hacía feliz.
Esos años de vivir compartiendo piso, sin tener casi nunca dinero de sobra, sin lavadora, sin coche, de levantarme a las 5.30 de la mañana… fueron un aprendizaje importante. A pesar de los días duros, de las horas llorando por sentirme sola y lejos de todos, por la incertidumbre de no saber si ese mes pagaría el alquiler, dependiendo de trabajos temporales… con jefes que dan para escribir no un post sino una novela… Pues a pesar de todo, esos años fueron, también, algunos de los mejores  de mi vida.

Aprendí a reírme de casi todo, aprendí el valor real de las cosas, aprendí que las colonias del supermercado pueden oler tan  bien en tu piel como el caro perfume  de Loewe que usaba antes.  Aprendí el valor de la amistad y de la lealtad y del respeto. Aprendí que con salud yo era capaz de salir adelante. Que no había trabajo pequeño ni vergonzoso, y que cualquier cosa que hiciera merecía hacerse de la mejor forma posible.

 

23 años. A la vuelta de mi viaje a UK

23 años. A la vuelta de mi viaje a UK

Por supuesto había días de auténtico miedo, recuerdo 2 momentos de auténtico pánico. Incluso hoy a veces sueño con esa sensación de angustia de no saber si podría seguir viviendo en la pura incertidumbre.  Como le he oído alguna vez a Sergio Fernández, el miedo a acabar en la indigencia. Hoy sé que quizás ese fue el mejor aprendizaje para ser emprendedora: no hay certitud, solo ganas de trabajar y  confianza en una misma. Y sentido común: mucho sentido común.

Tras esos años llegó mi etapa de casada que fue quizás, la única época tranquila de mi vida en casi todos los aspectos. Al poco de casarme encontré un buen trabajo, de jornada reducida que me permitía seguir teniendo tiempo para mi, para mi voluntariado, para mis estudios suplementarios (esa ha sido otra constante en mi vida, siempre he estado aprendiendo de muchas cosas diferentes), para mi marido. Era muy cómodo saber que de 8:30 a 13:00 6 días a la semana yo trabajaba y que a fin de mes cobraba un sueldo.  Eso te permite hacer planes, pagar una casa, comprar un coche, viajar. El horario fijo te da la tranquilidad de pensar en qué tiempo es para el trabajo y cuál es para ti. Era la estampa feliz: una pareja joven y sana con trabajo fijo los 2.

Un trabajo fijo.

Hoy oigo eso y me da grima.
Mi trabajo fijo acabó tras más de 8 años de trabajar al 200% en una depresión por estrés y mobbing.
Comprobé que para una empresa yo era un número, el 01044. Que daba igual mi grado de implicación, de profesionalidad y de preparación. Que las mujeres éramos siempre de segunda. Que los puestos de responsabilidad no se otorgaban por cualificación  o implicación sino por cualquier otro condicionante nada relacionado con la valía profesional. Sufrí injusticias y chantajes hasta que dije «basta». Primero fue mi cuerpo con una enfermedad, y luego, al recuperarme, fui yo.  Decidí no volver a una empresa que no se merecía tenerme en su plantilla. Así que otra vez más escogí la incertidumbre a la certeza.

Tras un cambio de orientación profesional radical fui madre. y ahí sí que mi vida dio un giro total.

Resumiendo mucho esos años contaros que empecé mi negocio de venta de portabebés. Eso sí, con una mentalidad de cualquier cosa menos de emprendedora. Es cierto que lo empecé sin invertir ni un € del sueldo familia de mi marido que era de lo que vivíamos. Pero aún recuerdo, pasados algunos años, hacer pedidos de 200€ como si fuera algo arriesgadísimo, y con más miedo que ganas.

«Pensaba en pequeño, gastaba en pequeño y ganaba en pequeño».

A punto de dar un taller de porteo

A punto de dar un taller de porteo

Trabajaba decenas de horas a la semana como asesora de lactancia y porteo, ya no sin cobrar, sino pagando yo. Invertí no solo mi tiempo que dejaba de ganar por no trabajar, y que le robaba a mi hijo, a mi marido  a mí misma, sino que invertía el dinero de mi familia en coche, gasolina, folletos… en comprar y   probar portabebés que luego no usaba ni vendía por no gustarme. Prestaba mis portabebés sin contrapartida ninguna, a veces eran devueltos sucios, o rotos, o no se devolvían…

Hoy sé que no trabajaba gratis.  
No es un servicio voluntario y gratis como una cree al principio.
Hoy sé que YO PAGABA PARA TRABAJAR Y REGALAR MI TRABAJO A OTROS.
No hay nada gratis, si no lo paga nadie, lo pagas tú.

No voy a aburriros más contando cómo fue el cambio de ser una miniPYME a lo que soy hoy. Lo que sé es que tras divorciarme, cuando la red de seguridad del sueldo fijo desapareció, tras 3 minutos de ataque de pánico pensando en cómo iba yo a mantener 2 hijos y una casa, siendo autónoma sin ingresos fijos, algunos meses, sin beneficio o incluso con pérdidas… tras esos 3 minutos, cambié el chip.
Recuerdo que pensé en esos otros momentos de incertidumbre e inseguridad de mi vida, pensé en mi madre que crió 5 hijos y me dije: «Tú Puedes».

Los momentos de crisis son empujones si los sabemos aprovechar.

Prototipé mi idea de ofrecer formación on line en mi sector y comprobé que era posible. Sabía cuáles eran mis puntos fuertes y decidí de una vez ponerlos a mi servicio, el de mi emprendimiento. Invertí mis ahorros en poner en marcha este proyecto con cabeza, alma y corazón.

Me resolví a no escuchar los comentarios negativos ni las críticas, salvo para ver qué tenían de verdad y mejorar.
Las otras, las dañinas, las demoledoras, las de aquéllos que critican por sistema lo diferente, lo nuevo, lo original…
o sencillamente aquéllo que no hacen ellos…
esas me daban aún más fuerzas, aunque sólo fuera para callarles la boca.

He de decir que recibí muchas más palabras de apoyo que de las otras. Seguramente porque son más, o porque no me centré en escuchar y/o leer a cada persona que decía algo negativo.  No me afectan demasiado las opiniones ajenas, pero por supuesto que algo me afectan, así que  decido no darles a gente que no me conoce o que no me aprecia el poder de dejar que cambien mi estado de ánimo. 
En estos 2 años he recibido, como todos, decepciones personales importantes. No he acertado a la primera en todo, he pagado caros algunos errores, pero todo es parte del proceso. Todo nos ha traído aquí.
Puede parecer un pequeño premio sin importancia, y quizás no cambie en gran cosa mi vida y mi trabajo. Pero es real, y lo he ganado yo.

Personas fuera del ámbito maternal tan endogámico, tan centrado en peleas absurdas de «esto es mío» o «esto se hace así», han visto un Negocio novedoso e innovador, rentable, con misión y con proyección de futuro.

Asesoras Continuum es un Proyecto que cambia vidas.
Cambió la mía, cambia la de quienes pasan por él y cambia la de los bebés de las familias que nos contratan.
Cambia la sociedad, porque cambia individuos y cambia mentalidades.
Eso Soy. Eso Somos y por eso hemos ganado.

Y por eso a menos de 2 semanas de cerrar el plazo de Inscripción con precio de oferta para el curso de Enero 2015, tenemos ya muchas de las plazas cubiertas. Por eso decenas de mujeres maravillosas nos escriben  diciéndonos que aunque ahora no pueden, su meta es ser Asesora Continuum.

  • Estamos contribuyendo a crear mentalidad de emprendedoras,
  • A mostrar cómo se emprende en femenino, de verdad, conciliando de verdad.
  • Pidiendo un salario justo por nuestro trabajo, no mendigando caridad porque ese no es el mundo que queremos.
  • No queremos cobrar en agradecimiento eterno. No queremos palmaditas. Nuestro Ego va bien servido y no dependemos de esos reconocimientos externos para vivir.
  •  Somos mujeres, madres y empresarias y queremos vivir nosotras y nuestros hijos, de nuestro trabajo . De un trabajo en el que somos buenas, lo mejor que podemos, y que nos esforzamos por hacer cada día de forma profesional y exquisita. 
  • Y queremos vivir bien.  
  • Parte de la libertad  y del empoderamiento personal pasa por la independencia económica y esa es una tarea pendiente de las mujeres aún hoy.
Nohemi Hervada emprendedora

Sé la Emprendedora que quieres ser

Este es un pequeño resumen de muchos años de trabajo. Largo para un post, ya lo sé, pero en eso, como en muchas cosas,  hago las cosas a mi modo, aunque no sea el más recomendable para obtener resultados.
Todo este rollo para compartiros lo feliz que estoy. Para animaros a creer en vosotras, a hacer las cosas con cabeza, pero a hacerlas.
Y a que nadie os diga que para obtener un resultado tenéis que dejar de ser como sois.

Nohemi Hervada en un karaoke

Soy Empresaria y me sigue encantando cantar

Taller Prevención Violencia de Género en la Villa de Moya

Taller Prevención Violencia de Género en la Villa de Moya

Este taller me reporta grandes satisfacciones y no solo a nivel profesional.
He escrito en otras ocasiones que he vivido muy de cerca la violencia, desde niña, en muchas de sus facetas y es un tema al que soy especialmente sensible, por eso  es tan importante para mi que las instituciones y organismos públicos apuesten por este tipo de iniciativas.
Gracias al equipo del Ayuntamiento de la Villa de Moya por confiar en mi trabajo  y contratarme para impartir 2 talleres en su I Encuentro de Mujeres Villa de Moya.
No os voy a aburrir contando lo que hicimos allí, solo os voy a poner unas fotos para que respiréis un poco del ambiente.
Fotos de la presentación del evento, de la primera conferencia a cargo de la presidenta de CERES, y ya después, fotos de mis talleres.